***"Vaccinazioni Obbligatorie Contro L'Epatite B: Altre Considerazioni Critiche"***

Nel 1991 è stata resa obbligatoria in Italia la vaccinazione anti-epatite B. Il primo vaccino contro questa malattia è stato approvato negli Stati Uniti nel 1981 e reso disponibile in commercio nel 1982. Esso consiste in particelle purificate e inattive di HBsAg, estratte da plasma di individui persistentemente infetti. La possibilità che un vaccino ricavato da sangue umano fosse infettato da altri virus conosciuti (delta, HIV, etc...) o sconosciuti ha naturalmente indotto a cercare soluzioni di carattere sintetico che fossero prive di rischio. Nel 1984 è stato messo in commercio il vaccino da DNA ricombinante, il primo vaccino umano prodotto con tecniche di biologia molecolare: il gene per l’HBsAg di un virus HBV sottotipo adw2 è stato introdotto nel DNA di particolari saccaromiceti. La proteina di 24 KD prodotta dal lievito forma una particella di 20 nm con proprietà immunologiche e fisiche simili all’antigene di superficie isolato dal plasma umano. Programmi di vaccinazione anti-HBV di massa diretti all’infanzia sono limitati a non oltre 20 Stati dell’Africa e del Sud-Est Asiatico nei quali l’incidenza dell’epatite B è molto elevata, con tassi di prevalenza dei portatori dell’HBsAg superiori all’8%. L’Italia è a tutt’oggi l’unico Paese al mondo - tra quelli ad incidenza di epatite B intermedia con tassi di prevalenza di portatori asintomatici del 2-5% - in cui la vaccinazione sia stata resa obbligatoria. L’informazione che è stata fornita agli operatori sanitari tramite riviste specializzate e ai cittadini attraverso la stampa è stata massiccia ed è stata efficacemente riassunta dal prof. G. Da Villa su Federazione Medica (Numero XLIII, Agosto 1990, pag.609). Sorgono a questo punto domande lecite sul significato di questo provvedimento legislativo; domande che - a partire dall’epidemiologia della malattia, in evidente e spontaneo calo in questi ultimi anni - abbracciano altri temi come la durata e l’efficacia della protezione, la lettura dei dati fino ad oggi forniti, gli effetti collaterali che l’introduzione del vaccino ricombinante ha solo in parte risolto.
EPIDEMIOLOGIAA giustificazione della strategia adottata in Italia dal Ministero della Sanità (obbligatorietà della vaccinazione in età infantile) viene riportato il dato relativo all’aumento dell’incidenza dell’infezione da HBV negli USA nel corso degli anni 1982-1989, periodo della vaccinazione settoriale (cioè dei gruppi a rischio, da 55-100.000 nel 1981 a 63-100.000 nel 1987). Da Villa sostiene che questo dato, di per sé abbastanza inquietante, porta a considerare come necessaria nella prevenzione dell’epatite B l’adozione di una pratica vaccinale di massa ed obbligatoria, poiché 1) i gruppi a rischio sono difficili da identificare esistendo i portatori di HBsAg asintomatici; 2) i bambini risponderebbero molto più degli adulti allo stimolo immunogenico. Bisogna però considerare che, rispetto agli USA, la situazione italiana presenta tendenze opposte: dai dati diffusi dalla regione Lombardia appare ad esempio chiaro che le denuncie di epatite virale hanno in quest’ultimi anni subìto una progressiva riduzione (dai 4.481 casi nel 1984 ai 1.155 casi nel 1991). Situazioni analoghe si riscontrano in altre regioni italiane. Il dato meritevole di attenzione è il fatto che non solo si è registrata una riduzione dei casi totali di epatite ma che tale riduzione si è verificata nell’ambito di ciascun tipo di epatite virale: tra il 1984 e il 1991 l’epatite A è scesa da 948 a 191 casi; l’epatite B da 2.131 a 628 casi; l’epatite non A non B da 557 a 265 casi; le epatiti non classificate da 845 a 71 casi. Tale andamento è probabilmente legato ad un maggior controllo dei donatori di sangue e dei prodotti della donazione nonché ad una diffusa sensibilizzazione e attenzione al problema, imposto sia dalla promozione della campagna di vaccinazione facoltativa contro l’epatite B che dalle iniziative di informazione ed educazione sanitaria per prevenire l’Aids ed in genere le malattie trasmissibili per via sessuale. Vi sono peraltro altre considerazioni che varrebbe la pena di fare e che possono portare ad una revisione critica delle ipotesi sopra riportate. In primo luogo, i dati riportati dalla regione Lombardia si riferiscono ad un periodo in cui la vaccinazione anti-HBV non era ancora obbligatoria e limitata ad alcune categorie di soggetti a rischio (nel 1985 le vaccinazioni per abitanti sono state 14/10.000 e nel 1989 18/10.000). In secondo luogo, il test di screening per l’infezione da HIV si è reso disponibile in Italia agli inizi del 1985 ed è a partire da tale data che si è iniziato a testare i donatori di sangue. Prima del 1985, inoltre, l’Aids era ancora una malattia sconosciuta alla maggior parte delle persone. Le campagne di informazione sono iniziate proprio in quegli anni ed è da escludere che dal 1 gennaio 1984 gli italiani avessero preso coscienza del problema, cambiando i propri comportamenti sessuali e le proprie abitudini comportamentali.
DOSAGGIO,EFFICACIA E DURATA DELLA PROTEZIONELe esperienze di vaccinazione anti-HBV su neonati - condotte sia in Italia che in Paesi extraeuropei - differiscono notevolmente tra di loro sia per i dosaggi impiegati sia per le scadenze dei richiami vaccinali. Possono così sorgere alcune domande: ha significato che i vari autori si confrontino su protocolli così diversi tra di loro? C’è qualcuno che ha stabilito quale di questi protocolli sia risultato più efficace nel prevenire l’epatite B?Ogni valutazione relativa alla durata della protezione del vaccino anti-HBV non può naturalmente non tener conto dell’immunità naturale, la quale a sua volta dipende dalla diffusione dell’HBV in ciascuna regione. Per esempio, in Senegal (un Paese ad altissimo tasso di endemia dell’HBV: praticamente tutta la popolazione viene infettata e circa il 20% dei bambini diviene portatore cronico dell’HBsAg) l’efficacia protettiva della vaccinazione viene considerata del 100% nei primi 4 anni e scende rapidamente al 67% nel quinto-sesto anno, ne consegue che viene consigliato un richiamo al quinto anno. I neonati vaccinati risulteranno in buona percentuale non immuni al quinto-sesto anno di età e tale percentuale è destinata ad aumentare con il passare degli anni (P. Coursaget e altri, "Seven-year study of hepatis B vaccine efficacy in infant from an endemic area", Lancet del 15 novembre 1986). Manca comunque in letteratura il dato relativo alla persistenza in età adulta degli anticorpi anti-HBV dei vaccinati in età neonatale o infantile. Poiché gli adulti sono considerati meno responsivi alla vaccinazione, come possiamo prevedere quale sarà la risposta degli attuali giovani in età adulta?Altri ricercatori hanno dimostrato che il 12% dei bambini nati da madri HBsAg positive e vaccinati non presentavano titoli anticorporali protettivi 1-2 anni dopo la dose di richiamo e che un ulteriore 9% presentava titolo anticorporale inferiore a 100 mUI/ml (L. Viladomiu e altri, "When should at risk infents be boosted with hepatitis B vaccine?", Lancet del 3 gennaio 1987).Se la sieroconversione ad anti-HBS nei bambini è valutata essere intorno al 100% al termine del ciclo vaccinale completo, le cose sono invece molto diverse fra gli adulti. Secondo alcuni essa raggiunge il 96% con tre dosi, con un’incidenza di malattia del 2,2% rispetto al 9,9% del gruppo dei non vaccinati (W. Szmuness e altri, New England Journal of Medicine, vol. 307, pagg. 1481-1486, 9 dicembre 1982). Uno studio del 1989 dimostra inoltre che l’emivita degli anticorpi anti-HBs è di 150 giorni dopo il ciclo vaccinale completo (Nommensen e altri, "Half-life og Hbs antibody after hepatitis B vaccination: an aid ti timing of booster vaccination", Lancet del 7 ottobre 1989). Questo significa che nel soggetto vaccinato, in questo caso personale medico e quindi a rischio di contrarre l’epatite, la scomparsa degli anticorpi anti-HBs si verifica in circa 4-4,5 anni. Viene pertanto consigliato un rischiamo da effettuarsi ogni 3-4 anni.Nello studio di Hadler ("Long-term immunogenicity and efficacy of epatitis B vaccine in homosexual men", New England Journal of Medicine, vol. 315, pagg. 209-214, 24 luglio 1986) solo l’82% dei vaccinati raggiungeva elevati livelli anticorporali dopo un ciclo vaccinale completo mentre il 9% aveva una risposta insufficiente (inferiore o uguale 9,9 SRU, Sample Ratio Units) o nulla. Tra i soggetti con massima risposta dopo cinque anni, il 15% non aveva anticorpi anti-HBs dimostrabili e il 27% aveva un titolo anticorporale inferiore a 10 SRU. Solo il 14% dei soggetti manteneva livelli relativamente elevati di anticorporali (titolo superiore a 100 SRU). Furono inoltre identificati 55 casi (2,9%) di infezione da HBV nei soggetti vaccinati. Il rischio di contrarre un’epatite B è naturalmente risultato inversamente proporzionale all’intensità della risposta alla vaccinazione. nei soggetti con risposta debole o nulla un ulteriore ciclo vaccinale ha prodotto una risposta solo moderata.In uno studio condotto da E.A.C. Follett in una clinica di handicappati mentali su personale ospedaliero a rischio di infezione da HBV (Lancet del 26 settembre 1987, pagg. 728-731), il 96% dei soggetti sottoposti ad un ciclo vaccinale completo presenta anticorpi anti-HBV a distanza di nove mesi dall’inizio della vaccinazione. Elevati titoli anticorpali (superiori a 100 mUI/ml) erano dimostrabili solo nel 59% dei casi. Nel 13% dei vaccinati si era avuta una mancata risposta (4%) o una risposta scadente (inferiore a 100 mUI/ml) e non duratura (9%). Tali soggetti vaccinati rimanevano quindi a rischio di infezione. Secondo Follett il periodo di protezione di cinque anni è ottimistico: data l’estrema variabilità nella caduta del titolo anticorpale nel tempo, il richiamo andrebbe direttamente correlato al titolo anticorpale sviluppato dopo il ciclo vaccinale completo, al fine di garantire un’adeguata protezione.Nello studio di J. Crosnier (Lancet del 28 febbraio 1981, pagg. 455-459) il 94% dei soggetti vaccinati - staff medico e paramedico di un’unità di emodialisi - presentava una risposta immunitaria protettiva e l’incidenza di epatite B fu osservata nel 3,6% del gruppo dei vaccinati rispetto al 12,3% del gruppo placebo. Nello studio di N. Bhatti (BMJ del 13 luglio 1991, vol. 303, pagg. 97-100), condotto su maschi omosessuali o bisessuali, risultava invece immunizzato l’84% dei soggetti vaccinati.In uno studio condotto su personale ospedaliero (Lancet del 23 maggio 1987, pagg. 1206-1207), A. Laplanche riscontrò infine 4 casi di sieroconversione anti-HBc su un totale di 184 vaccinati. Poiché nel 75% dei vaccinati il titolo anticorpale risultava essere maggiore o uguale a 3.000 mUI/ml ed essendo il suo decremento proporzionale a quello sviluppato dopo il ciclo vaccinale completo, tale autore consiglia un intervallo standard di 10 anni tra la vaccinazione e il successivo richiamo.
EFFETTI COLLATERALISu Lancet del novembre 1991 (vol. 338, pagg. 1174-1175) Herroelen riporta i casi di due pazienti che hanno evidenziato sintomi di demielinizzazione del SNC dopo la somministrazione del vaccino anti-epatite B ricombinante. Uno di essi aveva una storia di sclerosi multipla, mentre il secondo non presentava alcun precedente di malattia neurologica. Entrambi presentavano un HLA con aplotipi DR2 e B7, da tempo associati a sclerosi multipla. La malattia nei due casi ha esordito, in un caso, alla sesta settimana dalla terza dose vaccinale e, nell’altro, alla sesta settimana dopo una fase booster. L’osservazione di questi due casi ha portato l’autore a concludere che, pur mancando prove dirette di causalità, sia ipotizzabile che la vaccinazione anti-epatite B possa scatenare demielinizzazione del SNC in soggetti geneticamente predisposti.In un articolo dell’American Journal of Epidemiology del 1988 (vol. 127, pagg. 337-351), F.E. Shaw del CDC di Atlanta riporta i casi segnalati dal 1982 al 1985 di complicanze neurologiche successive alla vaccinazione anti-HBV con vaccini plasmaderivati: 5 casi di convulsioni, 10 di paralisi di Bell, 9 di sindrome di Guillain-Barrè, 5 di radiocolite lombale, 3 di neuropatia del plesso branchiale, 5 di neurite ottica e 4 di mielite traversa. La metà di esse sono scomparse dopo la somministrazione della prima delle tre dosi richieste per il completamento del ciclo vaccinale. Dallo studio sono stati esclusi 14 casi di complicanze alla vaccinazione anti-HBV per mancanza di dati sufficienti relativi alle condizioni del paziente al momento dell’inoculo: 5 casi di polineuropatia non Guillain-Barrè, 5 di mononeuropatia, 1 di paralisi non meglio specificata, 1 di oftalmoplegia, 1 di ischemia cerebrale transitoria, 1 di miastenia grave. Lo stesso autore sottolinea il fatto che un importante errore nello studio è rappresentato da tutti quei casi di complicanze non segnalate.Su The Journal of Rheumatology del settembre 1990 (pagg. 1250-1251), E. Hachulla descrive invece un caso di oligoartrite comparso a distanza di due settimane dalla seconda dose di vaccino anti-HBV plasmaderivato in un ragazzo sano di 19 anni.Anche il vaccino da DNA ricombinante non è risultato libero da complicanze: Who Drug Information del 1990 (vol. 4, pag. 129) segnala 200 casi, la maggioranza dei quali comparsi entro la prima settimana di immunizzazione. Più frequenti sono risultate le sindromi simil-influenzali benché siano state segnalate anche complicanze neurologiche e psicologiche; tra queste 2 casi di di neurite ottica e 1 caso di sindrome di Guillain-Barrè. Nonostante la maggior parte delle reazioni al vaccino siano risultate transitorie, un paziente presentava - ancora dopo otto mesi - una sintomatologia caratterizzata da vertigini e diplopia secondarie da lesioni demielinizzanti. Un’altra segnalazione è riportata da S.J. Rogerson su BMJ dell’11 agosto 1990 (vol. 301): si tratta di un caso di eritema nodoso e poliartrite gravemente inabilitante, comparsi in un soggetto di 31 anni il giorno successivo all’inoculazione del vaccino anti-epatite B a DNA ricombinante e persistiti per circa sei settimane. La somiglianza di questa artrite con quella riscontrabile, sia pure raramente, nell’infezione da HBV e la sua relazione temporale con la vaccinazione hanno suggerito un ruolo eziopatogenetico del vaccino. Sempre su BMJ del 1 dicembre 1990 (vol. 301, pag. 1281) P. Cockwell descrive un caso di vasculite generalizzata da complessi immuni successivi a vaccinazione anti-HBV (non meglio precisata) in una donna di 45 anni. La Presse Medicale dell’8 ottobre 1988 riporta infine una lettera di P. Le Goff su un caso di periartrite nodosa in una donna di 34 anni, comparsa a distanza di quattro mesi dalla terza somministrazione di vaccino anti-HBV (non meglio precisato).
CEPPI MUTANTI DI HBVIn uno studio pubblicato su Lancet del 4 agosto 1990 (vol. 336, pagg. 325-329), Carman e colleghi segnalano 44 casi su 1590 (2,8%) di positività per HBsAg - e quindi di infezione acuta da HBV - tra i contatti di portatori cronici di HBsAg, tra i quali anche nati da madri portatrici croniche HBV i quali avevano tutti ricevuto un’immunizzazione attiva e passiva. Uno di essi ebbe un’epatite grave ed il virus responsabile è stato identificato come un mutante dell’HBV, cioè come un virus con genoma parzialmente diverso da quello della madre. Già in precedenza J.R. Wands (1986) e Coursaget (1987) avevano segnalato la comparsa di un nuovo ceppo denominato poi HBV-2. In occasione dell’International Symposium on Viral Hepatitis and Liver Disease, tenutosi a Houston nel 1990, Mc Mahom e altri hanno poi segnalato un HBV, con mutazione del genoma identica a quella descritta da Carman, in un paziente con fegato trapiantato e immunizzato per prevenire la reinfezione HBV. Questa evidenza porta gli autori a concludere che la mutazione possa essere indotta proprio dalla "pressione immunologica" alla qual i pazienti sono stati sottoposti. Questa possibilità appare preoccupante non solo per quello che concerne l’efficacia del vaccino nel prevenire eventi HBV simili ma soprattutto alla luce delle recenti acquisizioni sui meccanismi eziopatogenetici della cronicizzazione dell’epatite B. A questo proposito M. Colombo scrive, su Il Corriere della Sera del 1 giugno 1992, che "recenti studi suggeriscono che in molti casi è il virus stesso dell’epatite B ad essere responsabile del danno epatico, attraverso meccanismi di selezione di ceppi virali lesivi per il fegato. Spesso la tossicità epatica di questi ceppi è dovuta a variazioni del loro codice genetico, minuscole ma sufficienti per produrre proteine virali modificate. Nei pazienti infettati da virus B è il prevalere della replicazione di un ceppo sull’altro l’evento che probabilmente determina se l’infezione si trasforma o meno in malattia epatica. le infezioni sostenute da ceppi mutati hanno un maggior rischio di causare cirrosi ed epatite fulminante rispetto alle infezioni sostenute da ceppi originali.
CONCLUSIONILo scopo di questo articolo non è quello di mettere in discussione il valore protettivo della vaccinazione anti-HBV ma semmai di esprimere legittimi dubbi sulla possibilità di sradicare completamente la malattia nel nostro Paese attraverso l’adozione di una campagna di vaccinazione di massa. L’entusiasmo che in questi anni ha sostenuto la campagna per rendere obbligatoria la vaccinazione in Italia (unico Paese al mondo) sembra aver fatto dimenticare i problemi ancora irrisolti che riguardano l’efficacia, la durata e le possibili conseguenze della vaccinazione anti-epatite B. Appare infatti allarmante lo stesso dato USA, relativo all’aumento dei casi di epatite B dopo l’introduzione della vaccinazione nei gruppi a rischio, poiché una cosa è pensare che questo non sia sufficiente a ridurre i casi di malattia e un’altra è considerare la possibilità che la vaccinazione abbia in qualche modo favorito l’aumento dei casi di epatite. Anche le problematiche relative ai costi sociali della malattia e più ancora alle sue conseguenze (cronicità, cirrosi, etc...) nonché ai costi relativi alla vaccinazione andrebbero interamente riviste alla luce dei dati relativi alla durata della protezione vaccinale. E’ vero che i bambini rispondono meglio degli adulti, ma che ne sarà nel tempo della risposta anti-HBV? Che tipo di protezione anticorpale avrà l’adulto vaccinato 20-30 prima? Se dobbiamo rivaccinare o effettuare richiami vaccinali ogni 2-10 anni (a seconda degli autori) il costo annuo aumenterà di due-tre volte rispetto a quello preventivato. Occorre inoltre considerare che la diffusione dell’immunità artificiale determina la riduzione dell’immunità naturale, la quale rappresenta il fattore principale di stimolo al mantenimento e al rinforzo dell’immunità acquisita con la vaccinazione. E’ quindi ipotizzabile che in futuro la riduzione del valore protettivo della vaccinazione anti-epatite B sarà più rapida e che maggiore diventerà quindi la necessità di ulteriori e più frequenti richiami. Sappiamo inoltre che i ‘non responders’ costituiscono una quota non trascurabile e che nel vaccinato sono possibili l’infezione o la malattia acuta e probabilmente anche lo stato di portatore cronico dell’HBV. Queste considerazioni pongono seri dubbi sulla possibilità che la malattia possa essere completamente sradicata. La dimostrata selezione di ceppi mutanti dell’HBV (la cui maggiore patogenicità sembra ormai accertata) - forse anche grazie alla pressione immunologica determinata dalla vaccinazione - induce a considerare l’eventualità di un futuro con molti meno casi di epatite B (tendenza peraltro spontaneamente evidenziatasi in Italia) ma tutti più gravi sia nel corso della fase acuta che nell’evoluzione cronica verso la cirrosi epatica. Tutto questo in presenza di una tossicità dei vaccini, anche di quelli a DNA ricombinante, soprattutto a livello neurologico. In particolare, se ulteriori esperienze cliniche confermeranno l’ipotesi che la vaccinazione anti-HBV possa innescare lo sviluppo di sclerosi multipla in soggetti geneticamente predisposti, sarà indispensabile tipizzare gli HLA in tutti i vaccinandi, allo scopo di individuare i pazienti a rischio ed eventualmente escluderli, con evidente e insostenibile aumento dei costi sociali.(Testo a cura della dott.ssa Nicoletta Ziliani, del Gruppo milanese del Coordinamento per la libertà delle vaccinazioni)

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