***"Vaccinazioni Obbligatorie Contro L'Epatite B: Altre Considerazioni Critiche"***
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EPIDEMIOLOGIAA giustificazione della strategia adottata in Italia dal Ministero della Sanità (obbligatorietà della vaccinazione in età infantile) viene riportato il dato relativo all’aumento dell’incidenza dell’infezione da HBV negli USA nel corso degli anni 1982-1989, periodo della vaccinazione settoriale (cioè dei gruppi a rischio, da 55-100.000 nel 1981 a 63-100.000 nel 1987). Da Villa sostiene che questo dato, di per sé abbastanza inquietante, porta a considerare come necessaria nella prevenzione dell’epatite B l’adozione di una pratica vaccinale di massa ed obbligatoria, poiché 1) i gruppi a rischio sono difficili da identificare esistendo i portatori di HBsAg asintomatici; 2) i bambini risponderebbero molto più degli adulti allo stimolo immunogenico. Bisogna però considerare che, rispetto agli USA, la situazione italiana presenta tendenze opposte: dai dati diffusi dalla regione Lombardia appare ad esempio chiaro che le denuncie di epatite virale hanno in quest’ultimi anni subìto una progressiva riduzione (dai 4.481 casi nel 1984 ai 1.155 casi nel 1991). Situazioni analoghe si riscontrano in altre regioni italiane. Il dato meritevole di attenzione è il fatto che non solo si è registrata una riduzione dei casi totali di epatite ma che tale riduzione si è verificata nell’ambito di ciascun tipo di epatite virale: tra il 1984 e il 1991 l’epatite A è scesa da 948 a 191 casi; l’epatite B da 2.131 a 628 casi; l’epatite non A non B da 557 a 265 casi; le epatiti non classificate da 845 a 71 casi. Tale andamento è probabilmente legato ad un maggior controllo dei donatori di sangue e dei prodotti della donazione nonché ad una diffusa sensibilizzazione e attenzione al problema, imposto sia dalla promozione della campagna di vaccinazione facoltativa contro l’epatite B che dalle iniziative di informazione ed educazione sanitaria per prevenire l’Aids ed in genere le malattie trasmissibili per via sessuale. Vi sono peraltro altre considerazioni che varrebbe la pena di fare e che possono portare ad una revisione critica delle ipotesi sopra riportate. In primo luogo, i dati riportati dalla regione Lombardia si riferiscono ad un periodo in cui la vaccinazione anti-HBV non era ancora obbligatoria e limitata ad alcune categorie di soggetti a rischio (nel 1985 le vaccinazioni per abitanti sono state 14/10.000 e nel 1989 18/10.000). In secondo luogo, il test di screening per l’infezione da HIV si è reso disponibile in Italia agli inizi del 1985 ed è a partire da tale data che si è iniziato a testare i donatori di sangue. Prima del 1985, inoltre, l’Aids era ancora una malattia sconosciuta alla maggior parte delle persone. Le campagne di informazione sono iniziate proprio in quegli anni ed è da escludere che dal 1 gennaio 1984 gli italiani avessero preso coscienza del problema, cambiando i propri comportamenti sessuali e le proprie abitudini comportamentali.
DOSAGGIO,EFFICACIA E DURATA DELLA PROTEZIONELe esperienze di vaccinazione anti-HBV su neonati - condotte sia in Italia che in Paesi extraeuropei - differiscono notevolmente tra di loro sia per i dosaggi impiegati sia per le scadenze dei richiami vaccinali. Possono così sorgere alcune domande: ha significato che i vari autori si confrontino su protocolli così diversi tra di loro? C’è qualcuno che ha stabilito quale di questi protocolli sia risultato più efficace nel prevenire l’epatite B?Ogni valutazione relativa alla durata della protezione del vaccino anti-HBV non può naturalmente non tener conto dell’immunità naturale, la quale a sua volta dipende dalla diffusione dell’HBV in ciascuna regione. Per esempio, in Senegal (un Paese ad altissimo tasso di endemia dell’HBV: praticamente tutta la popolazione viene infettata e circa il 20% dei bambini diviene portatore cronico dell’HBsAg) l’efficacia protettiva della vaccinazione viene considerata del 100% nei primi 4 anni e scende rapidamente al 67% nel quinto-sesto anno, ne consegue che viene consigliato un richiamo al quinto anno. I neonati vaccinati risulteranno in buona percentuale non immuni al quinto-sesto anno di età e tale percentuale è destinata ad aumentare con il passare degli anni (P. Coursaget e altri, "Seven-year study of hepatis B vaccine efficacy in infant from an endemic area", Lancet del 15 novembre 1986). Manca comunque in letteratura il dato relativo alla persistenza in età adulta degli anticorpi anti-HBV dei vaccinati in età neonatale o infantile. Poiché gli adulti sono considerati meno responsivi alla vaccinazione, come possiamo prevedere quale sarà la risposta degli attuali giovani in età adulta?Altri ricercatori hanno dimostrato che il 12% dei bambini nati da madri HBsAg positive e vaccinati non presentavano titoli anticorporali protettivi 1-2 anni dopo la dose di richiamo e che un ulteriore 9% presentava titolo anticorporale inferiore a 100 mUI/ml (L. Viladomiu e altri, "When should at risk infents be boosted with hepatitis B vaccine?", Lancet del 3 gennaio 1987).Se la sieroconversione ad anti-HBS nei bambini è valutata essere intorno al 100% al termine del ciclo vaccinale completo, le cose sono invece molto diverse fra gli adulti. Secondo alcuni essa raggiunge il 96% con tre dosi, con un’incidenza di malattia del 2,2% rispetto al 9,9% del gruppo dei non vaccinati (W. Szmuness e altri, New England Journal of Medicine, vol. 307, pagg. 1481-1486, 9 dicembre 1982). Uno studio del 1989 dimostra inoltre che l’emivita degli anticorpi anti-HBs è di 150 giorni dopo il ciclo vaccinale completo (Nommensen e altri, "Half-life og Hbs antibody after hepatitis B vaccination: an aid ti timing of booster vaccination", Lancet del 7 ottobre 1989). Questo significa che nel soggetto vaccinato, in questo caso personale medico e quindi a rischio di contrarre l’epatite, la scomparsa degli anticorpi anti-HBs si verifica in circa 4-4,5 anni. Viene pertanto consigliato un rischiamo da effettuarsi ogni 3-4 anni.Nello studio di Hadler ("Long-term immunogenicity and efficacy of epatitis B vaccine in homosexual men", New England Journal of Medicine, vol. 315, pagg. 209-214, 24 luglio 1986) solo l’82% dei vaccinati raggiungeva elevati livelli anticorporali dopo un ciclo vaccinale completo mentre il 9% aveva una risposta insufficiente (inferiore o uguale 9,9 SRU, Sample Ratio Units) o nulla. Tra i soggetti con massima risposta dopo cinque anni, il 15% non aveva anticorpi anti-HBs dimostrabili e il 27% aveva un titolo anticorporale inferiore a 10 SRU. Solo il 14% dei soggetti manteneva livelli relativamente elevati di anticorporali (titolo superiore a 100 SRU). Furono inoltre identificati 55 casi (2,9%) di infezione da HBV nei soggetti vaccinati. Il rischio di contrarre un’epatite B è naturalmente risultato inversamente proporzionale all’intensità della risposta alla vaccinazione. nei soggetti con risposta debole o nulla un ulteriore ciclo vaccinale ha prodotto una risposta solo moderata.In uno studio condotto da E.A.C. Follett in una clinica di handicappati mentali su personale ospedaliero a rischio di infezione da HBV (Lancet del 26 settembre 1987, pagg. 728-731), il 96% dei soggetti sottoposti ad un ciclo vaccinale completo presenta anticorpi anti-HBV a distanza di nove mesi dall’inizio della vaccinazione. Elevati titoli anticorpali (superiori a 100 mUI/ml) erano dimostrabili solo nel 59% dei casi. Nel 13% dei vaccinati si era avuta una mancata risposta (4%) o una risposta scadente (inferiore a 100 mUI/ml) e non duratura (9%). Tali soggetti vaccinati rimanevano quindi a rischio di infezione. Secondo Follett il periodo di protezione di cinque anni è ottimistico: data l’estrema variabilità nella caduta del titolo anticorpale nel tempo, il richiamo andrebbe direttamente correlato al titolo anticorpale sviluppato dopo il ciclo vaccinale completo, al fine di garantire un’adeguata protezione.Nello studio di J. Crosnier (Lancet del 28 febbraio 1981, pagg. 455-459) il 94% dei soggetti vaccinati - staff medico e paramedico di un’unità di emodialisi - presentava una risposta immunitaria protettiva e l’incidenza di epatite B fu osservata nel 3,6% del gruppo dei vaccinati rispetto al 12,3% del gruppo placebo. Nello studio di N. Bhatti (BMJ del 13 luglio 1991, vol. 303, pagg. 97-100), condotto su maschi omosessuali o bisessuali, risultava invece immunizzato l’84% dei soggetti vaccinati.In uno studio condotto su personale ospedaliero (Lancet del 23 maggio 1987, pagg. 1206-1207), A. Laplanche riscontrò infine 4 casi di sieroconversione anti-HBc su un totale di 184 vaccinati. Poiché nel 75% dei vaccinati il titolo anticorpale risultava essere maggiore o uguale a 3.000 mUI/ml ed essendo il suo decremento proporzionale a quello sviluppato dopo il ciclo vaccinale completo, tale autore consiglia un intervallo standard di 10 anni tra la vaccinazione e il successivo richiamo.
EFFETTI COLLATERALISu Lancet del novembre 1991 (vol. 338, pagg. 1174-1175) Herroelen riporta i casi di due pazienti che hanno evidenziato sintomi di demielinizzazione del SNC dopo la somministrazione del vaccino anti-epatite B ricombinante. Uno di essi aveva una storia di sclerosi multipla, mentre il secondo non presentava alcun precedente di malattia neurologica. Entrambi presentavano un HLA con aplotipi DR2 e B7, da tempo associati a sclerosi multipla. La malattia nei due casi ha esordito, in un caso, alla sesta settimana dalla terza dose vaccinale e, nell’altro, alla sesta settimana dopo una fase booster. L’osservazione di questi due casi ha portato l’autore a concludere che, pur mancando prove dirette di causalità, sia ipotizzabile che la vaccinazione anti-epatite B possa scatenare demielinizzazione del SNC in soggetti geneticamente predisposti.In un articolo dell’American Journal of Epidemiology del 1988 (vol. 127, pagg. 337-351), F.E. Shaw del CDC di Atlanta riporta i casi segnalati dal 1982 al 1985 di complicanze neurologiche successive alla vaccinazione anti-HBV con vaccini plasmaderivati: 5 casi di convulsioni, 10 di paralisi di Bell, 9 di sindrome di Guillain-Barrè, 5 di radiocolite lombale, 3 di neuropatia del plesso branchiale, 5 di neurite ottica e 4 di mielite traversa. La metà di esse sono scomparse dopo la somministrazione della prima delle tre dosi richieste per il completamento del ciclo vaccinale. Dallo studio sono stati esclusi 14 casi di complicanze alla vaccinazione anti-HBV per mancanza di dati sufficienti relativi alle condizioni del paziente al momento dell’inoculo: 5 casi di polineuropatia non Guillain-Barrè, 5 di mononeuropatia, 1 di paralisi non meglio specificata, 1 di oftalmoplegia, 1 di ischemia cerebrale transitoria, 1 di miastenia grave. Lo stesso autore sottolinea il fatto che un importante errore nello studio è rappresentato da tutti quei casi di complicanze non segnalate.Su The Journal of Rheumatology del settembre 1990 (pagg. 1250-1251), E. Hachulla descrive invece un caso di oligoartrite comparso a distanza di due settimane dalla seconda dose di vaccino anti-HBV plasmaderivato in un ragazzo sano di 19 anni.Anche il vaccino da DNA ricombinante non è risultato libero da complicanze: Who Drug Information del 1990 (vol. 4, pag. 129) segnala 200 casi, la maggioranza dei quali comparsi entro la prima settimana di immunizzazione. Più frequenti sono risultate le sindromi simil-influenzali benché siano state segnalate anche complicanze neurologiche e psicologiche; tra queste 2 casi di di neurite ottica e 1 caso di sindrome di Guillain-Barrè. Nonostante la maggior parte delle reazioni al vaccino siano risultate transitorie, un paziente presentava - ancora dopo otto mesi - una sintomatologia caratterizzata da vertigini e diplopia secondarie da lesioni demielinizzanti. Un’altra segnalazione è riportata da S.J. Rogerson su BMJ dell’11 agosto 1990 (vol. 301): si tratta di un caso di eritema nodoso e poliartrite gravemente inabilitante, comparsi in un soggetto di 31 anni il giorno successivo all’inoculazione del vaccino anti-epatite B a DNA ricombinante e persistiti per circa sei settimane. La somiglianza di questa artrite con quella riscontrabile, sia pure raramente, nell’infezione da HBV e la sua relazione temporale con la vaccinazione hanno suggerito un ruolo eziopatogenetico del vaccino. Sempre su BMJ del 1 dicembre 1990 (vol. 301, pag. 1281) P. Cockwell descrive un caso di vasculite generalizzata da complessi immuni successivi a vaccinazione anti-HBV (non meglio precisata) in una donna di 45 anni. La Presse Medicale dell’8 ottobre 1988 riporta infine una lettera di P. Le Goff su un caso di periartrite nodosa in una donna di 34 anni, comparsa a distanza di quattro mesi dalla terza somministrazione di vaccino anti-HBV (non meglio precisato).
CEPPI MUTANTI DI HBVIn uno studio pubblicato su Lancet del 4 agosto 1990 (vol. 336, pagg. 325-329), Carman e colleghi segnalano 44 casi su 1590 (2,8%) di positività per HBsAg - e quindi di infezione acuta da HBV - tra i contatti di portatori cronici di HBsAg, tra i quali anche nati da madri portatrici croniche HBV i quali avevano tutti ricevuto un’immunizzazione attiva e passiva. Uno di essi ebbe un’epatite grave ed il virus responsabile è stato identificato come un mutante dell’HBV, cioè come un virus con genoma parzialmente diverso da quello della madre. Già in precedenza J.R. Wands (1986) e Coursaget (1987) avevano segnalato la comparsa di un nuovo ceppo denominato poi HBV-2. In occasione dell’International Symposium on Viral Hepatitis and Liver Disease, tenutosi a Houston nel 1990, Mc Mahom e altri hanno poi segnalato un HBV, con mutazione del genoma identica a quella descritta da Carman, in un paziente con fegato trapiantato e immunizzato per prevenire la reinfezione HBV. Questa evidenza porta gli autori a concludere che la mutazione possa essere indotta proprio dalla "pressione immunologica" alla qual i pazienti sono stati sottoposti. Questa possibilità appare preoccupante non solo per quello che concerne l’efficacia del vaccino nel prevenire eventi HBV simili ma soprattutto alla luce delle recenti acquisizioni sui meccanismi eziopatogenetici della cronicizzazione dell’epatite B. A questo proposito M. Colombo scrive, su Il Corriere della Sera del 1 giugno 1992, che "recenti studi suggeriscono che in molti casi è il virus stesso dell’epatite B ad essere responsabile del danno epatico, attraverso meccanismi di selezione di ceppi virali lesivi per il fegato. Spesso la tossicità epatica di questi ceppi è dovuta a variazioni del loro codice genetico, minuscole ma sufficienti per produrre proteine virali modificate. Nei pazienti infettati da virus B è il prevalere della replicazione di un ceppo sull’altro l’evento che probabilmente determina se l’infezione si trasforma o meno in malattia epatica. le infezioni sostenute da ceppi mutati hanno un maggior rischio di causare cirrosi ed epatite fulminante rispetto alle infezioni sostenute da ceppi originali.
CONCLUSIONILo scopo di questo articolo non è quello di mettere in discussione il valore protettivo della vaccinazione anti-HBV ma semmai di esprimere legittimi dubbi sulla possibilità di sradicare completamente la malattia nel nostro Paese attraverso l’adozione di una campagna di vaccinazione di massa. L’entusiasmo che in questi anni ha sostenuto la campagna per rendere obbligatoria la vaccinazione in Italia (unico Paese al mondo) sembra aver fatto dimenticare i problemi ancora irrisolti che riguardano l’efficacia, la durata e le possibili conseguenze della vaccinazione anti-epatite B. Appare infatti allarmante lo stesso dato USA, relativo all’aumento dei casi di epatite B dopo l’introduzione della vaccinazione nei gruppi a rischio, poiché una cosa è pensare che questo non sia sufficiente a ridurre i casi di malattia e un’altra è considerare la possibilità che la vaccinazione abbia in qualche modo favorito l’aumento dei casi di epatite. Anche le problematiche relative ai costi sociali della malattia e più ancora alle sue conseguenze (cronicità, cirrosi, etc...) nonché ai costi relativi alla vaccinazione andrebbero interamente riviste alla luce dei dati relativi alla durata della protezione vaccinale. E’ vero che i bambini rispondono meglio degli adulti, ma che ne sarà nel tempo della risposta anti-HBV? Che tipo di protezione anticorpale avrà l’adulto vaccinato 20-30 prima? Se dobbiamo rivaccinare o effettuare richiami vaccinali ogni 2-10 anni (a seconda degli autori) il costo annuo aumenterà di due-tre volte rispetto a quello preventivato. Occorre inoltre considerare che la diffusione dell’immunità artificiale determina la riduzione dell’immunità naturale, la quale rappresenta il fattore principale di stimolo al mantenimento e al rinforzo dell’immunità acquisita con la vaccinazione. E’ quindi ipotizzabile che in futuro la riduzione del valore protettivo della vaccinazione anti-epatite B sarà più rapida e che maggiore diventerà quindi la necessità di ulteriori e più frequenti richiami. Sappiamo inoltre che i ‘non responders’ costituiscono una quota non trascurabile e che nel vaccinato sono possibili l’infezione o la malattia acuta e probabilmente anche lo stato di portatore cronico dell’HBV. Queste considerazioni pongono seri dubbi sulla possibilità che la malattia possa essere completamente sradicata. La dimostrata selezione di ceppi mutanti dell’HBV (la cui maggiore patogenicità sembra ormai accertata) - forse anche grazie alla pressione immunologica determinata dalla vaccinazione - induce a considerare l’eventualità di un futuro con molti meno casi di epatite B (tendenza peraltro spontaneamente evidenziatasi in Italia) ma tutti più gravi sia nel corso della fase acuta che nell’evoluzione cronica verso la cirrosi epatica. Tutto questo in presenza di una tossicità dei vaccini, anche di quelli a DNA ricombinante, soprattutto a livello neurologico. In particolare, se ulteriori esperienze cliniche confermeranno l’ipotesi che la vaccinazione anti-HBV possa innescare lo sviluppo di sclerosi multipla in soggetti geneticamente predisposti, sarà indispensabile tipizzare gli HLA in tutti i vaccinandi, allo scopo di individuare i pazienti a rischio ed eventualmente escluderli, con evidente e insostenibile aumento dei costi sociali.(Testo a cura della dott.ssa Nicoletta Ziliani, del Gruppo milanese del Coordinamento per la libertà delle vaccinazioni)
***"Vaccino Obbligatorio Anti Epatite B: Le Bugie Di De Lorenzo, Bianco, Cirino Pomicino E Company"***
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In corsivo sono riportate le note di commento critico al testo del Governo, redatte a cura dell’Associazione per la protezione della Natura (da Vaccinazioni perché?, Macroedizioni, numero 1, maggio 1995).
ONOREVOLI DEPUTATI! L’epatite B, com’è noto, ha in Italia un tasso di incidenza di 13 per 10.000, con due milioni di sieropositivi, trecentomila casi di infezione e novemila decessi ogni anno correlati a pregresse infezioni.
Le cifre di malati e morti sono gonfiate: mentre De Lorenzo parla di 9.000 morti all’anno causati dall’epatite B, le statistiche del Ministero della Sanità e dell’ISTAT indicano per il 1988 e il 1989 circa 8.500 malati per tutti i tipi di epatite. Poiché i malati di epatite B sono circa il 50-60% del totale, nel 1988 e nel 1989 c’erano al massimo 5.000 malati di epatite B in tutta Italia. Questa, essendo trasmessa quasi esclusivamente attraverso il sangue, colpisce prevalentemente adulti e anziani sottoposti a terapie mediche o che si drogano. Solo il 3-5% dei malati è compreso tra 0 e 14 anni. Nel 1988 e nel 1989 si sono quindi ammalati di epatite B circa 150-250 bambini minori di 14 anni. Il 90% dei malati di epatite B elimina il virus e guarisce senza conseguenze; il 2-3% riporta invece gravi conseguenze, anche mortali. Tutto ciò significa che stiamo vaccinando un milione duecentomila bambini, con tutti i rischi collegati ad ogni vaccinazione più quelli specifici della vaccinazione anti-epatite B, per tentare di prevenire gli effetti negativi della malattia in una decina di bambini al massimo: 10 miliardi di lire a bambino (e pensare che se un bambino o un adulto muoiono in seguito a vaccinazione lo Stato riconosce un indennizzo di appena 50 milioni di lire). E’ questo il rapporto rischio-beneficio che i medici e gli esperti pongono sempre a giustificazione delle vaccinazioni?
Nell’ultimo decennio è stata osservata una rilevante modifica dei fattori di rischio con una riduzione di quello trasfusionale, ed un incremento di quello correlato alla iniezione di droghe. La distribuzione geografica dell’infezione varia notevolmente, caratterizzandosi per l’esistenza di aree iperendemiche, particolarmente nell’Italia meridionale. I progressi compiuti in questi ultimi anni con l’ingegneria genetica hanno consentito la realizzazione di un vaccino praticamente privo di rischi, immunogeno, efficace, che consente quindi la messa a punto di una strategia di vaccinazione di massa, anche per la connessa diminuzione dei costi. Si è così potuto conseguire un livello estremamente favorevole del rapporto costo-beneficio e inquadrare la vaccinazione contro l’epatite B come vaccinazione obbligatoria, in modo da contrastare efficacemente gli attuali livelli italiani di endemia, tenendo altresì presente che causa principale di infezione è il contagio interumano e in particolare quello intrafamiliare tardivo, come avviene particolarmente nelle popolazioni meridionali.
Relazione tecnica
(Articolo II-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, introdotto dall’articolo 7 della legge 23 agosto 1988, n. 362)
Nel 1983 è stata istituita in Italia la vaccinazione contro l’epatite virale B in forma facoltativa e gratuita. Essa è stata svolta dal 1983 ad oggi presso tutti i presìdi sanitari esistenti sul territorio nazionale nell’ambito di programmi applicativi regionali. L’offerta attiva della vaccinazione in argomento è stata indirizzata a settori della popolazione a elevato rischio di contagio. Nel corso della campagna vaccinale in parola sono stati immunizzati contro l’epatite virale B oltre 600.000 cittadini italiani, di cui 110.000 nel 1989. L’onere relativo all’attività di cui trattasi è stato sostenuto dalle regioni mediante propri stanziamenti gravanti sui riparti del fondo sanitario nazionale. Facendo riferimento ai costi rilevati nel 1989, l’onere relativo all’acquisto del vaccino risultato dalla somma delle singole aste regionali, può essere quantificato in lire 9.075.000.000. La spesa relativa all’operatività vaccinale si riferisce a due ordini di prestazioni: lo screening pre-vaccinale e l’inoculazione del vaccino nel vaccinando. Per quanto riguarda il primo è necessario precisare che dal 1983 ad oggi ogni operazione vaccinale doveva necessariamente essere preceduta dal dosaggio sierologico dei marcatori HBV, al fine di scartare dal processo di immunizzazione tutti quei soggetti che fossero risultati positivi per una delle analisi svolte. Il costo del predetto screening, effettuato in Italia nel 1989, è risultato essere complessivamente di lire 14.846.700.000. Poiché su 100 individui saggiati solo 60 risultavano negativi e quindi vaccinabili, il peso economico dei restanti 40 - non vaccinabili perché positivi - deve essere sommato al costo del singolo screening prevaccinale che pertanto, da lire 14.846.700.000 lievita a lire 20.785.380.000. Per quanto concerne l’aspetto economico dell’operatività vaccinale in senso stretto, cioè del costo dell’inoculazione del vaccino e l’organizzazione strutturale necessaria per il suo svolgimento, è impossibile procedere ad una dettagliata analisi quantitativa dello stesso, rientrando il tutto nell’ambito dell’organizzazione sanitaria delle unità sanitarie locali, cui è stato affidato il compito della esecuzione materiale dei cicli vaccinali. In base quindi ai dati economici sopra citati, inerenti sia al costo del vaccino sia al costo dello screening prevaccinale, relativamente a 110.000 persone che sono state immunizzate nel 1989 è possibile affermare che la spesa sanitaria per l’immunizzazione contro l’epatite virale B in Italia, svolta nel predetto anno in forma facoltativa con i limiti valutativi sopra espressi, è stata di lire 29.860.380.000. Tale costo deve essere maggiorato del 20 per cento in riferimento al maggior onere derivante dal trattamento differenziale delle procedure vaccinali anti-HBV svolte a carico dei neonati da madre HBsAg positiva e dei soggetti poco o nulla rispondenti alla somministrazione del vaccino. Infatti i nati da madre HBsAg positiva, nel numero di 16.000 ogni anno, ricevono una dose di vaccino in più rispetto agli altri soggetti; gli ipo o no responders, che costituiscono mediamente il 10 per cento dei soggetti adulti vaccinati, praticano tre dosi di vaccino e tre dosaggi dell’anti-HBS in più rispetto agli altri soggetti. Pertanto il costo complessivo della vaccinazione antiepatitica B riferito al 1989 in Italia risulta essere di lire 35.833.140.000.
La spesa per vaccinare le categorie a rischio prima della vaccinazione obbligatoria è gonfiata: viene calcolato nella spesa l’esame di controllo del sangue che era obbligatorio fare prima della vaccinazione ma che era già stato eliminato prima della discussione della legge: in questo modo De Lorenzo, Bianco, Cirino Pomicino e Carli fanno credere che la vaccinazione di 110.000 soggetti nel 1989 sia costata quasi 36 miliardi di lire invece dei 9 miliardi effettivi.
La copertura del predetto onere è stata sostenuta dalle regioni e dalle unità sanitarie locali con il riparto del Fondo sanitario nazionale loro attribuito, di cui solo 8 miliardi di lire a destinazione vincolata per la vaccinazione anti-epatite B.Con il presente disegno di legge si propone una nuova strategia vaccinale contro l’epatite virale B, caratterizzata da una espansione del numero dei soggetti da immunizzare e dall’obbligatorietà della vaccinazione nei confronti di alcuni settori della popolazione (bambini all’età di un anno e adolescenti all’età di dodici anni). Pertanto, sono sottoposti all’immunizzazione anti-HBV ogni anno, in forma obbligatoria, tutti i nuovi nati nel primo anno di vita e tutti gli adolescenti al dodicesimo anno di vita e, facoltativamente, alcune categorie di abitanti ad elevato rischio di contagio con la seguente previsione partecipativa annua:1) 550.000 nuovi nati nel primo anno di vita;2) 600.000 adolescenti nel dodicesimo anno di vita;3) 50.000 soggetti facenti parte delle categorie a rischio.
L’immunizzazione anti-HBV delle predette classi di cittadini comporta costi unitari per ogni ciclo vaccinale notevolmente inferiori a quanto speso fino a oggi. Infatti, agli effetti del decreto del Ministero della Sanità 26 aprile 1990, tutte le operazioni vaccinali anti-HBV non devono più essere precedute o seguite da screening e, in applicazione degli articoli 2 e 4 del disegno di legge di cui trattasi, lo svolgimento di dette operazioni è affidato alle UUSSLL. Ne deriva pertanto che l’onere della vaccinazione anti-epatitica B, proposta nel disegno di legge in argomento, è costituito semplicemente dal costo dell’approvvigionamento necessario per vaccinare 1.200.000 persone ogni anno, senza l’aggravio della spesa relativa all’esecuzione degli screening prevaccinali, in quanto proceduralmente soppressi dal decreto ministeriale sopra richiamato e senza l’aggravio della spesa relativa alle operazioni vaccinali in quanto svolte nelle strutture sanitarie delle UUSSLL istituzionalmente preposte per tali prestazioni e che attualmente già effettuano le vaccinazioni obbligatorie antipoliomelitica, antidifterica ed antitetanica. Inoltre è da sottolineare l’evento nuovo che modifica sostanzialmente il mercato del vaccino antiepatitico, rappresentato dal fatto che alcune aziende farmaceutiche raggiungono un regime produttivo ottimale di vaccino sintetico utilizzando come materia prima il lievito di birra, e ciò consente l’immissione sul mercato di un prodotto ad un prezzo estremamente ridotto. Infatti, di fronte a costi di lire 90.000 per ogni ciclo vaccinale rilevati mediamente nell’anno 1989, in alcune aste regionali effettuate nel 1990 si spuntano prezzi di gran lunga più bassi, oscillanti intorno alle 25.000 lire.
La spesa prevista per la vaccinazione obbligatoria è enormemente inferiore alla realtà: il prezzo del ciclo vaccinale completo viene artificiosamente calcolato in 25.000 lire mentre non è mai stato inferiore a 90.000 lire e spesso è stato anche molto superiore; non tiene conto del costo dell’inoculazione del vaccino e dell’organizzazione sanitaria e logistica per il suo svolgimento: costi scaricati sulle UUSSLL ma comunque da calcolare; non tiene conto della maggiorazione del 20 per cento (circa 6 miliardi di lire) riferita al trattamento differenziale di 16.000 neonati da madre HBsAg positiva.Pertanto, 1.200.000 cicli vaccinali al costo minimo di 90.000 lire assommano già alla considerevole cifra di 108 miliardi di lire, più alcune decine di miliardi di lire per l’organizzazione e l’esecuzione, più sei miliardi di lire per i neonati da madre HBsAg positiva: a voler essere modesti il costo di questa legge può essere quantificato tra i 150 e i 200 miliardi di lire e comunque molto lontano dai 32 miliardi 700 milioni di lire indicati da De Lorenzo, Cirino Pomicino, Bianco e Carli. Non è quindi difficile capire come mai, nella valutazione rischi-benefici, tutti gli altri Paesi europei abbiano ritenuto di non proporre un analogo provvedimento sanitario.
In base a tali eventi è possibile sostenere pertanto che l’onere necessario per la vaccinazione di 1.200.000 persone all’anno, come ipotizzato dal disegno di legge in parola, potrà essere di lire 32.700.000 (25.000 x 1.200.000 + IVA al 9 per cento), sempre che ci sia un’adesione alle procedure vaccinali della totalità dei soggetti. In conclusione, pertanto, è possibile affermare che il disegno di legge può trovare attuazione con una spesa sanitaria addirittura inferiore a quella fino ad oggi sostenuta dalle regioni nei programmi di immunizzazione descritti in premessa. Tale onere, inoltre, secondo valutazioni di ordine demografico e programmatico, dovrebbe ridursi consistentemente negli anni a venire. Infatti, la progressiva diminuzione delle nascite comporta una sensibile riduzione dei soggetti candidati obbligatoriamente alla vaccinazione (nuovi nati) e la progressiva saturazione del numero dei soggetti appartenenti alle categorie a rischio, indotta dal miglioramento della situazione epidemiologica in Italia come effetto delle campagne di vaccinazione antiepatitiche già svolte ed in corso di svolgimento, comporta una notevole riduzione delle operazioni vaccinali indirizzate a tali categorie. A decorrere poi dal tredicesimo anno dall’entrata in vigore della legge, il costo della vaccinazione potrà essere dimezzato; infatti, secondo quanto espresso dalla commissione di esperti istituita il 30 agosto 1989 presso il Ministero della Sanità e secondo quanto sostenuto dal Consiglio superiore di Sanità nella seduta del 7 febbraio 1990, la vaccinazione epatitica obbligatoria in argomento è indirizzata annualmente a due fasce di età (neonati e dodicenni) limitatamente ai primi 12 anni dall’entrata in vigore del provvedimento di cui trattasi e ciò al fine di poter raggiungere in breve tempo l’immunizzazione attiva di 24 generazioni italiane appartenenti a fasce di età comprese tra uno e ventiquattro anni. Quindi, a decorrere dal tredicesimo anno in poi, la vaccinazione sarà indirizzata solo ai nuovi nati e a quei pochi soggetti a rischio residuati dalle campagne di vaccinazione svolte, con esclusione dei dodicenni che già risultavano immunizzati alla nascita. Ciò comporta che il target della vaccinazione antiepatitica B, a decorrere dal tredicesimo anno, si ridurrà da 1.200.000 a circa 500.000 soggetti, con un notevole abbattimento della spesa annua necessaria per l’immunizzazione contro l’epatite B in Italia. Infine si fa presente che una massiccia campagna di vaccinazioni comporta da subito una diminuzione della spesa sanitaria, in quanto riduce il numero dei soggetti colpiti da epatite o patologie correlate - cirrosi epatiche, etc. - da assistere sia a livello di prestazioni ospedaliere, sia a livello di assistenza medica e specialistica. (tratto da Promiseland.it)
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